Il suo “io”.

E poi c’è questo tizio, sempre in treno, che parla dei suoi figli con una ragazza di fronte a lui; e lei ride, ogni tanto prova a dire “Anche io” e dice qualcosa, oppure avalla le affermazioni dell’interlocutore, ride, lo asseconda, lui prova ad assumere un atteggiamento buffo per farla ridere, parla della suocera, della moglie, ma davvero gliene frega? E perché lei ride? Ma alla gente interessa dell’altra gente, dei figli delle altre persone, di quanto è bella, brutta, divertente o triste la loro vita?
In ogni discorso sento le persone parlarsi addosso vicendevolmente usando il pronome che li rappresenta con frequenza irritante: “Io, io, io, io, io, io questo, io quello” e mi chiedo spesso perché parlano, dove vogliono arrivare, se cercano pacche sulle spalle, compiacimento, consigli, approvazione o non so cosa, perché io mi sono rotto di parlare, ogni tanto scrivo e basta ma almeno non guardo in faccia nessuno e quando ho voglia di dire qualcosa non devo sorbirmi qualcuno che mi interrompe con il suo “Io”.


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